CHIESA SAN LUCA ABATE

La chiesa madre intitolata a San Luca Abate è da identificarsi con quell’oratorio dedicato ai santi abati Luca e Biagio (1059), restaurato dall’abate Luca II, intorno al quale si aggregarono i superstiti dei centri scomparsi di Faraco, distrutto da un terremoto e definitivamente abbandonato nel 1305 e Montechiaro, incendiato nel 1432. Dalle fonti d’archivio risulta che a Faraco erano presenti due istituti ecclesiastici, intitolati, rispettivamente, a Sant’Andrea e alla Madre di Dio.

Prima dei restauri settecenteschi si hanno poche testimonianze dell’edificio religioso: nel 1606 il cardinale, commendatario del monastero dei Santi Elia e Anastasio, Paolo Emilio Santoro ordinò il finanziamento dei lavori di messa in sicurezza del campanile, come si evince dall’iscrizione lapidea conservata, ora, nella vicina cappella della Madonna degli Angeli e, un tempo, affissa proprio sotto al campanile.

Nel 1783, quando la gestione amministrativa del monastero passò al Regio Fisco, la chiesa madre fu restaurata «e posta in bello con plastici Lavori di stucco dal 1784 al 1790 a spese del Re sulle rendite che allora percipiva da’ beni della Commenda devoluti al Demanio Regio, cosicché nella facciata esteriore dell’Orchestra si dipinse lo Stemma Reale, che nel 1799, fù rimpiazzato dallo stemma del Comune, perché i rivoluzionarj di quel tempo volevano far dipingere lo stemma republicano» [Asp, Intendenza di Basilicata, Atto Decurionato del 21/03/1835 da F. Buglione 2020, p. 50].

Lo Spena, nella sua opera del 1831 e nella successiva rivisitazione del 1859, descrisse con dovizia di particolari la morfologia dell’intera struttura ecclesiastica a seguito dei lavori di ristrutturazione, che determinarono una significativa trasformazione degli interni arricchiti di preziosi lavori in stucco di cui, purtroppo, attualmente rimane poco.    

Altra testimonianza che si evidenzia dalle fonti risale al marzo del 1853 quando, nella nottata tra i giorni 16 e 17, crollò il campanile.

L’edificio si presenta a tre navate: sulla controsoffittatura di quella centrale si può ammirare il Ratto d’Elia (santo patrono di Carbone) e sui controsoffitti delle minori di destra e di sinistra i dipinti (attribuiti al pittore Salvatore Ferrari da Rivello) che ritraggono San Giovanni Crisostomo tra San Nilo e San Bartolomeo, da un lato, San Gregorio di Nissa tra San Vincenzo di Saragozza e Sant’Anastasio il Persiano, dall’altro.

Tra le opere di maggior pregio ospitate all’interno della chiesa, si segnalano: l’importante tela cinquecentesca raffigurante Elia sale al cielo sul carro di fuoco (l’autore del dipinto potrebbe essere Bernardino Cesari, fratello del famoso Cavalier d’Arpino); l’affresco della Dormitio e Assunzione della Vergine, opera, probabilmente, di un maestro attivo nell’ambito napoletano nella seconda metà del Cinquecento, che recita nella parte inferiore l’iscrizione, Assumpta est Maria in celum gaudent angeli lauda[n]tes benedicu[n]t Dominum; il dipinto della Sacra Famiglia con il Padre Eterno, opera concordemente attribuita al pittore calabrese Francesco Oliva, uno dei protagonisti della pittura sacra in Basilicata nella seconda metà del settecento; la statua lignea di Santa Maria Egiziaca (datata alla prima metà del XVIII secolo) che rappresenta la donna coi capelli sciolti chiari che scendono sugli abiti essenziali, mentre fissa il crocifisso sulla mano sinistra, a ricordo della sua conversione durante la venerazione della Santa Croce a Gerusalemme, mentre con la destra regge un panno su cui sono i pani, sua alimentazione miracolosa, al di sotto dell’opera si conserva gelosamente la cassa reliquiario indorata con le preziose reliquie della santa eremita molto venerata in Oriente, su cui si può leggere una breve iscrizione il cui incipit recita, in hac capsula ossa s[anctae]; la scultura, in legno di castagno, di San Donato (protettore di Carbone) che si può apprezzare in tutto il suo realismo espressivo dopo il bel restauro del 2016, rappresenta il santo, giovane adulto,  con i tipici abiti e insegne episcopali, in atteggiamento estatico potenziato dallo sguardo in alto, così come ci è stato consegnato dalla tradizione agiografica come liberatore di ossessi ed epilettici; il busto-reliquiario di San Giovanni Elemosinario, che costituisce uno degli oggetti artisticamente più importanti custoditi nella chiesa madre di San Luca Abate, il quale per «la larghezza delle elemosine meritò di essere paragonato a quel grande Giovanni Patriarca Alessandrino, a cui la grandezza delle elemosine dette il nome di elemosinario» [Spena 1831, p. 9].

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